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Casa, così il nuovo catasto fa aumentare le tasse

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Pubblicato da Dimensione Casa in Blog · 5 Agosto 2014
Tags: casatassecatastoriforme

Se possedete una casa a Pistoia, Pesaro, Messina, Lucca, Imperia, Trento, Venezia, Rimini, Cuneo e Asti, è probabile, stando alle prime simulazioni elaborate dal  Sole 24 Ore, che vi spetteranno i maggiori rincari per effetto della riforma del catasto e l’adeguamento del valore ai prezzi di mercato. Invece le 10 città con minor probabilità di aumento della base imponibile con la riforma sono Pordenone, Padova, Mantova, Biella, Taranto, Torino, Brindisi, Viterbo, Lecco e Como. Con tutta la prudenza del caso (e il Sole infatti avverte che si tratta solo di ipotesi, «di rincari potenziali»), dopo il via libera al primo decreto attuativo (giusto venerdì in commissione Finanze a Palazzo Madama), si comincia a ragionare quanto peserà l’aggiornamento degli estimi catastali degli anni Ottanta.


E sulla base proprio del valore si pagheranno Imu e Tasi. Eclatante il caso di Pistoia che conquista il primo posto della classifica dei possibili rincari. L’attuale imponibile media è di circa «73mila euro, a fronte di un valore di mercato medio stimato a 281 mila euro». Un divario di ben il 284% che rischia di far esplodere la tassazione.  Chi teme per rincari consistenti è sicuramente Venezia, così come altri capoluoghi del Veneto che compaiono tutti nella parte alta della classifica. La città lacustre si aggiudica il settimo posto tra i primi dieci capoluoghi.

E con la riforma del Catasto, l’adeguamento ai valori di mercato, il passaggio epocale dai vani ai metriquadri, si teme un esborso record. Il divario per Venezia è pari al 219%, mentre possono stare un po’ più tranquilli a Padova dove il divario è quasi impercettibile (26%, penultima nella classifica del divario).

In Veneto rischiano anche Treviso (144%) e Vicenza (131%), mentre Belluno (105%), Rovigo (98%) e Verona (66%), dovrebbero superare l’aggiornamento senza scossoni. O almeno si spera nella tanto sbandierata promessa di restare «a parità di incassi», garantita dal governo.

Ma per gli italiani, appassionati di mattoni (l’86% delle famiglie possiede la casa dove vive), i dolori immobiliari non sono che all’inizio. Dopo il pasticcio delle aliquote Tasi, ora ci sono le nuove scadenze che si avvicinano e - complice l’esodo ferragostano nelle amministrazioni comunali - settembre si annuncia come un mese da vero ingorgo fiscale (l’ennesimo).

A giugno soltanto 2.900 comuni risultavano in regola con le delibere per fissare le aliquote e procedere quindi al pagamento in due rate. Gli altri circa 5mila (stando al censimento del Dipartimento delle Finanze), a ieri non hanno ancora deliberato in materia. Il problema è che la proroga concessa dalla prima scadenza del 16 giugno, ha rinviato il saldo. C’è ora tempo fino al 10 settembre per decidere, ma i tempi tecnici tra decisioni e delibera prendono circa 3 settimane e quindi o si deciderà a cavallo di ferragosto, oppure si rischia di arrivare alla scadenza senza un’aliquota definita. E se il comune non dovesse deliberare in tempo? Si pagherà con l’aliquota standard (1 per mille). Peccato che penalizzi gli immobili di minor pregio, privilegiando quelli di lusso, che pagheranno poco. Per le case più piccole l’aliquota standard non prevede detrazioni. Unica buona notizia: si sta riflettendo se accorpare Imu e Tasi. Sempre che non scappi fuori qualche altro pasticcio...




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